Amelia Dyer, la levatrice assassina
Inghilterra, Londra, 1869. Amelia Dyer piange la morte del suo defunto marito, George Thomas, uomo che fino all’ultimo aveva provveduto alla moglie e alla figlia, Ellen Thomas.
George aveva 67 anni, ma la nostra Amelia ne ha 32: la differenza di età era tale che al momento di sposarsi, nel 1861, Thomas falsifica i propri documenti togliendosi 11 anni, mentre la Dyer ne aggiunge 6. Questo particolare curioso merita di essere riportato in quanto la documentazione ufficiale verrà confusa in seguito da questa discrepanza, creando un po’ di confusione nella ricostruzione della vicenda.
La formazione
Amelia si ritrova sola economicamente. Sua figlia è ancora troppo piccola, solo lei può portare il pane a casa, e vorrebbe trovare un lavoro adatto alla sua situazione domestica.
In passato aveva lavorato come infermiera, grazie agli insegnamenti del marito, un lavoro troppo stressante ed impegnativo che aveva dovuto lasciare per la nascita della figlia. Sono le sue uniche conoscenze tecniche, oltre alle passioni per la lettura e la poesia, fatto abbastanza particolare per le famiglie bassolocate dell’Epoca Vittoriana.
In questa particolare ragnatela, Amelia pensa e rimugina, fino a quando le viene in mente una vecchia conversazione che aveva avuto con un levatrice nel 1863.
Questa donna, tale Ellen Dane (o Danes), tra una chiacchiera e l’altra le aveva rivelato un metodo curioso per arrivare a fine mese, una sorta di business dell’infanzia.
Dobbiamo inserirci in quell’epoca, dritti fino all’ipocrisia Vittoriana e scordarci della nostra morale.
Nelle città inglesi le conseguenze del Poor Law Amendment Act del 1834 si vedono nelle loro piccole situazioni quotidiane, e l’incentivo dato alla gente di strada per sollevarsi dalla propria situazione (e quindi gravare di meno sul bilancio pubblico) non vede quello che spesso succede nel mondo più sporco e viscido, lontano dalla luce dei reali.
Una conseguenza legale investiva i padri di figli illegittimi, stabilendo che nessun obbligo finanziaro poteva coinvolgerli nel mantenimento del bambino; le madri molto spesso si trovavano quindi in una situazione troppo gravosa e dovevano affidare il proprio figlio ad una levatrice che avrebbe provveduto a crescerlo e a dargli una rudimentale educazione. Fin qui sembra tutto in regola, se non fosse che le madri molto spesso rifiutavano di avere indietro il proprio figlio, vuoi che fosse nato da rapporti scomodi o che non vi fosse la disponibilità economica di mantenerlo.
Unica soluzione, orfanotrofio. E poi chissà.
Ellen Dane è nel giro delle levatrici e conosce il mestiere. Sa quello che succede nell’ambiente, sa i metodi migliori per fare questo e quello, e sa che ci sono cose che sarebbe meglio non dire in giro.
Per quanto possa essere gratificante crescere un bimbo, questo costa. Costa denaro, costa fatica, costa stress. Ma ha senso tutta questa fatica per un bimbo che non sarà mai accettato dal mondo che lo ha gia rifiutato?
Non tutte le levatrici sono adorabili ed ortodosse. Qualcuna è più ruvida, e sa che quando il bambino piange può essere tranquillamente sedato con un po’ di alcool. Quando il bambino ha fame ed è malato, basta un po’ di oppiacei e ancora alcool.
Quando il bambino è gravemente malato, non c’è molto da fare. Basta ignorarlo.
E se i soldi con cui la famiglia mi ha pagato li destinassi ad altro? Qui sarebbero solo soldi sprecati…
E qui nasce un Business. Il Baby-farming
La signora Thomas
Amelia si fa subito in quattro, mette in giro annunci e organizza colloqui con chi è interessato ai suoi servigi. Confidenzialmente durante gli incontri accetta di prendere con se figli illegittimi, addirittura di praticare il parto in casa, il tutto con un certo prezzo.
Oltre alle sterline pretende dell’abbigliamento adeguato per il figlio, per non doversi scomodare lei stessa.
Ormai è fatta, questa affidabile vedova ingrana, e come sapete, gli affari sono affari.
Dopo essersi comportata adeguatamente, incomincia a non poterne più, e lascia i bambini praticamente a se stessi, placandoli con i rimedi sopracitati.
Nel 1879 però accade un imprevisto: un medico nota casualmente che un gran numero di infanti deceduti erano curati dalla stessa levatrice, ed un accertamento la farà condannare non per omicidio ma per negligenza nei confronti dei piccoli, destinandola a sei mesi di lavori forzati.
Nonostante se la sia egregiamente cavata l’esperienza è pesante per la Dyer, minando soprattutto la propria sanità mentale e la propria voglia di vivere.
Dopo il suo rilascio manifesta tendenze suicide, grande depressione e dipendenze da oppiacei e alcolici. Ma deve ancora lavorare, e ricomincia il lavoro dove l’aveva interrotto.
Nel 1890 torna ad avere noie: una governante vuole vedere il proprio figlio, e la Dyer gliene porge uno che la madre non riconosce. Lo spoglia, alla ricerca di una voglia che non c’è. Dov’è mio figlio?
Le autorità iniziano degli accertamenti, ma la Dyer non gli lascia molto tempo e fugge. Inizia a fuggire ed ad assumere molte identità, tra cui quello di signora Thomas. La pressione le fa tentare il suicidio scolandosi due bottiglie di laudano, ma a quanto pare l’averne abusato negli anni le ha donato una certa tolleranza all’oppiaceo.
Ripresasi, ricomincia ancora il suo mestiere, sotto fattezze sempre diverse per non destare sospetti, e salta le procedure mediche e funebri per evitare coinvolgimenti legali. Inizia da sola a sbarazzarsi dei corpi delle sue piccole vittime: dopo averli strangolati con un piccolo nastro bianco, li metteva in un sacco con dei mattoni, per recarsi successivamente in riva al Tamigi, su una panchina, a leggere le sue poesie, ed a sbarazzarsi in maniera anonima dei piccoli sacchi.
La cattura
Il 30 marzo 1896 un marinaio pesca uno di questi sacchetti, e aprendolo trova il cadavere putrefatto di una bambina e qualche cianfrusaglia.
Consegna scioccato il sacco alla polizia, dove un brillante e devoto Detective Anderson esamina un pezzo di carta con il microscopio dove trova qualche scarabbocchio: Signora thomas, e un indirizzo.
La polizia inizia ad avere dei sospetti verso la Dyer, ma non ha ancora prove a sufficienza. Facendo qualche domanda ai vicini, iniziano ad avere TREMENDI sospetti. Temendo che la Dyer fugga, organizzano un incontro con una finta madre, e riescono infine ad ottenere un mandato esaminare la sua dimora.
La perquisizione ha luogo il 3 aprile, e gli agenti vengono colpiti dal fetore che pervade le stanze di quella casa. Odore di morte, ma nessun corpo. In compenso, molti documenti preziosi, come i carteggi con le madri dove venivano chieste notizie dei figli e molti nastrini bianchi come quello trovato sul collo della piccola recuperata.
Il 4 aprile Amelia Dyer viene arrestata, e il tamigi viene immediatamente dragato alla ricerca di altri corpi, e ne vengono scoperti sei, tutti con il nastrino bianco al collo.
Il 22 maggio Amelia Dyer viene giudicata colpevole dell’omicidio di Doris Marmon. E basta.
In prigione riempirà cinque quaderni aspettando il giorno della propria esecuzione, il 10 giugno 1896, tramite impiccagione.
Condannata per una sola vittima, incriminata per almeno tre, e sei corpi ritrovati nel Tamigi. Le indagini in seguito ipotizzeranno che stando al suo periodo di attività e anche alle sue memorie scritte, il numero è incredibilmente grande.
Si aggira tra le 200-400 vittime per un periodo di ventanni.
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peccato per il bot, è pure un bel post ben fatto
vabbè, è il meno. io condivido i miei interessi