Meditazione
È l’ora della meditazione, e il boato nella testa che accompagna ogni mia giornata d’un tratto scompare. La mia psiche raggiunge giorno dopo giorno, inevitabilmente, il punto di rottura, il limite oltre quale la mia personalità può solo scindersi e io non sarei più in grado di avere il controllo sulle azioni dettate dalla mia mente. Raggiungo sempre la soglia di non ritorno senza mai varcarla, un passo oltre e cadrei nell’oblio della follia, non sarei più la guida dei miei pensieri e qualcun altro potrebbe prendere il sopravvento sul timone che governa la mia volontà.
Sono nato e cresciuto come ogni essere umano che abita questa terra, sono stato istruito con gli stessi valori e sono stato nutrito dagli stessi seni. In casa mia non mancava mai l’affetto reciproco tra i miei familiari e me, abbiamo trascorso insieme una vita pacifica lontana dalla violenza e dal male che a volte si insedia in questo mondo per creare dolore e caos.
Mia madre era un’educatrice dell’asilo nido più prestigioso della città, era dotata di bontà e generosità che sono le qualità più rare di questo mondo e che le hanno permesso di crescermi onesto come sono rimasto finora; la pazienza con cui allevava quelle piccole creature era eguagliata dalla sua empatia nel capirle, nel comprendere i loro sentimenti ancora in fase di sviluppo e i loro comportamenti ancora indefiniti, immaturi e il suo più grande talento era sicuramente la capacità di instradare i giovani cuori verso la via della rettitudine, ma senza mai agire sul libero arbitrio di ogni fanciullo. Plasmava la versione miniaturizzata di una società onesta perché ogni bambino si sentiva gratificato nell’aiutare il suo vicino e nessuno era mai scontento o infelice perché erano loro stessi a prendere la decisione che più li aggradava, ma senza cadere vittima dell’egoismo.
Crescendo ognuno dei pargoli perdeva i ricordi di questi insegnamenti, le virtù affievolivano e si faceva largo, ogni singola volta, l’individualismo dell’uomo adulto, raggiunta la pubertà ogni bambino era dimentico dei valori che con duro lavoro mia madre infondeva in loro e la condivisione veniva soppiantata dall’avidità, la generosità dalla violenza, e il rispetto dagli insulti. Crescevano nell’aspetto fisico, ma regredivano nella mente. Ognuno di loro abbandonava nel passato, in un angolo remoto del loro cervello, i precetti di cui mia madre, con tutto il suo affetto, faceva dono loro.
Mio padre era un ciabattaio, una professione antica andata ormai in disuso. Era un uomo di scarsa cultura, al limite dell’analfabetismo, ma non per questo ignorante. Eguagliava mia madre nella sua innata bontà, a tratti la superava addirittura; se lui fosse appartenuto alla generazione successiva a quella di mia madre, si sarebbe potuto sicuramente dire che lui era il suo più grande capolavoro, il successo dei suoi esperimenti d’insegnamento, l’unico uomo ad aver conservato le virtù acquisite durante la maturazione del suo carattere. Invece fu solo il caso a far regalo al mondo di queste due anime pure, vissute nella stessa epoca e nello stesso luogo per permettere loro di incontrarsi e conoscere la felicità che più di tutti meritavano.
La loro storia d’amore mi commuove ogni volta che me la raccontano. Mia madre veniva da una famiglia sulla soglia della povertà, avevano a malapena i soldi per permettersi cibo per sfamarsi e vestiti per non morire congelati. Ogni capo d’abito che portavano era logoro, bucato dall’usura e dalle tarme, ma nonostante questo vivevano del calore del loro affetto e il sorriso in casa loro non mancava mai. Mia madre studiava duramente per guadagnarsi un futuro migliore ed è proprio andando a scuola che conobbe mio padre. Lui lavorava come lustrascarpe e fattorino di fronte al negozio di suo padre, che ben presto erediterà; mentre si trovava inginocchiato sulle scarpe eleganti di un nobile alzò lo sguardo per un breve istante e notò saltellare questa magnifica creatura, mia madre, avvolta dai suoi vestiti rovinati, ma ciò nonostante ai suoi occhi brillava di un’aura celestiale. Nella distrazione mio padre sporcò l’orlo dei pantaloni dell’uomo che lo scaraventò a terra con un calcio rabbioso; ma mio padre era ancora perso in quella splendida immagine di poco prima, e solo dopo un po’ di tempo si accorse del danno causato e si prostrò in scuse di fronte all’elegante nobile, che le accettò con sdegno e se ne andò senza pagare.
Mio padre venne avvolto dal tiepido vello dell’amore. Corse per tutta la città in cerca della meravigliosa creatura che era mia madre. Di giorno in giorno sperava nel momento in cui l’avrebbe rivista, e finalmente ella ricomparve davanti ai suoi occhi e le gambe di mio padre precedettero la sua volontà. Si precipitò di volata incontro a mia madre, senza nemmeno avere un’idea su come approcciarsi con lei. Arrivò in procinto di toccarle la spalla per avere la sua attenzione, ma distrattamente inciampò sul marciapiedi sconnesso strappando definitivamente la mantellina di mia madre. Nell’imbarazzo più totale e nel rammarico più sincero si ritrovò nuovamente inginocchiato a pregare per le scuse di qualcuno, che questa volta vennero accolte dal sorriso più spontaneo e angelico che egli avesse mai visto disegnarsi sul volto di qualcuno.
Mio padre si offrì di rammendare ogni singolo capo d’abbigliamento posseduto da mia madre e dalla sua famiglia per sdebitarsi del suo gesto maldestro. Trascorsero insieme interi pomeriggi mentre lui teneva fede alla sua parola, i pomeriggi più belli della loro vita, a loro dire. Mio padre confessò praticamente subito l’interesse nei confronti di mia madre e cosa successe veramente al loro primo incontro. Allora avevano poco più della mia età attuale, all’incirca quindici anni, e sono rimasti legati fino ad adesso; mia madre rimase incinta di me non meno di tre anni dopo il loro primo incontro e sicuramente non prima di aver sposato mio padre.
Sono figlio unico e questo mi rende l’unico beneficiario del loro smodato amore per gli altri. Sono grato di essere nato sotto le cure, perché nessuno migliore di loro avrebbe potuto allevare il seme del diavolo. Non sono malvagio, ma come ho detto il male a volte si insedia in questo mondo per creare dolore e caos. I medici pensano che io sia affetto da schizofrenia, io ritengo che l’universo, di natura incorruttibile, cerchi di risolvere un’anomalia che esso stesso a generato: a collocato nello stesso luogo e nello stesso tempo due entità tanto affini da essere praticamente eguali e questo a causato un errore nell’equazione, e per correggerlo sono stato dato alla vita io, un fattore riequilibrante che agisca sulla gioia con il dolore e sulla bontà con la violenza.
Sono cresciuto in un’ambiente paradisiaco, dove l’affetto è incondizionato e le persone rimangono oneste. Sono stato istruito con i valori più elevati sul rispetto della vita e degli esseri viventi che abitano questo mondo. Mi è stato fatto dono dell’amore smisurato che ogni bambino dovrebbe poter avere, che ogni orfano di questa terra sogna più di ogni altra cosa, e di cui speravo con tutto me stesso di poter far tesoro. Madre, padre, mi avete insegnato a discernere il giusto dallo sbagliato, il bene dal male, e con altrettanta pazienza avete cercato di soffocare la mia malvagità mostrandomi il sentiero della rettitudine. Allora perché, mi chiedo, perché impugno il coltello che ha strappato la vita dal vostro petto, perché le mie mani, il mio volto, il mio intero corpo è ricoperto dal vostro sangue ancora caldo. Io medito, medito su questo come mi avete insegnato a fare, ma non riesco a capire il perché.
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girolamomarotta
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