Pompei: una Silicon Valley archeologica?
Stando a quanto riportato da Plinio il Giovane nella sua prima lettera a Tacito, sono circa le ore 13 di un lontano 24 agosto, 79 d.C., quando il Vesuvio erutta rilasciando un’energia termica pari a 100.000 volte la bomba atomica di Hiroshima. Passano poche ore e la città di Pompei è solo un ricordo.
[Immagine riutilizzabile; link qui]
A testimonianza di quanto accaduto, 44 ettari di rovine e circa 1.500 corpi ricostruiti col gesso grazie ad una ingegnosa tecnica messa a punto all’epoca dei primi scavi dall’archeologo Giuseppe Fiorelli.
Di questi, il calco più famoso è sicuramente quello detto degli ‘amanti’, due corpi tra loro intrecciati scoperti nel 1922 presso la casa del Criptoportico. All’epoca vennero creduti un uomo ed una donna abbracciati l’un l’altro fino all’esalazione dell’ultimo respiro. Successivamente si è poi pensato ad un viluppo tra donne, forse una madre intenta in qualche modo a proteggere sua figlia da un fatale destino. Pochi mesi fa però l’eclatante scoperta: Tac e DNA rivelano infatti come con buona probabilità i corpi appartengano a due ragazzi di 18 e 20 anni il cui amore, tragicamente interrotto, è giunto fino ai giorni nostri intrappolato nella cenere.
Pompei però non è solo passato, mistero e tragedia. Pompei è anche innovazione; Pompei è anche futuro.
Nel corso del Technology for all 2017 svoltosi a Roma lo scorso ottobre è stato presentato l’ambizioso progetto Smart@Pompei con il quale il MiBACT si prefigge di trasformare il sito di della città campana nel primo Smart Archaelogical Park al mondo. Novità assoluta per ciò che concerne le nuove tecnologie applicate ai beni culturali, il progetto è frutto di una convenzione stipulata nel 2016 tra CNR e ministero, intenzionati così a dar vita ad una stretta collaborazione tra enti di ricerca, imprese e governo per migliorare e rendere più sicura la fruizione del patrimonio culturale nazionale.
[Foto di @Ispira; planimetria di un rudere; Technology for all 2017; Roma]
Nello specifico, Smart@Pompei prevede la realizzazione all’interno del sito archeologico di un impianto strumentale basato su tecnologie IoT (Internet of Things) finalizzato a facilitarne la gestione e a garantire la sicurezza di visitatori e monumenti in maniera intelligente, efficiente e sostenibile. Grazie alla sensoristica distribuita nel parco e all’utilizzo di droni, sarà infatti possibile svolgere attività di videosorveglianza, monitoraggio sismico, controllo accessi e antintrusione attraverso una singola piattaforma operativa in modo rapido e poco dispendioso.
Dal 2016 è poi possibile visitare gli scavi di Pompei in maniera più interattiva grazie alla app ufficiale Pompeii Sites, una guida multimediale gratuita contenente 10 itinerari, 3 ore di commenti audio, immagini, riprese video, illustrazioni e ricostruzioni. E stando a quanto affermato dagli sviluppatori, in futuro saranno presenti all’interno dell’applicazione anche itinerari in realtà aumentata: al visitatore basterà così puntare la fotocamera del proprio smartphone verso punti ben precisi degli scavi per accedere in tempo reale a ricostruzioni 3D, immagini e disegni.
Oggi Pompei sembra quindi essere un interessante esperimento per comprendere le possibili sinergie tra tecnologia e patrimonio culturale: potrebbe quest’ultimo diventare un volano per la creazione nel nostro paese di aree tecnologiche uniche nel loro genere? E’ irreale pensare ad una Silicon Valley archeologica a Pompei?
[Immagine riutilizzabile; link qui]
Evviva. Fosse finalmente arrivato il tempo in cui si riesca a valorizzare i nostri beni culturali inestimabili prima che cadano in una rovina definitiva.
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