1948 + 70 = 1984

in #ita7 years ago (edited)

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Carissimi tutti, rieccoci su Altrimondi, il mio e vostro mini-magazine del Fantastico… E, dopo il nostro ultimo incontro con Frankenstein, eccoci a un passo da un altro “Gigante”.

Spero sarete d’accordo con me, se dico che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Che diamine… abbiamo tutto ciò che ci serve e molto, molto di più. Trascorriamo in ambienti salubri e sereni una vita di soddisfazioni, certi che il futuro nostro e dei nostri figli sarà garantito. Ognuno di noi fa la propria parte nella Grande Macchina del Lavoro e del Consumo e se proprio qualcuno non riesce a stare al passo… be’, che si dia una mossa, giusto?

Nel mondo non c’è povertà, sofferenza, paura, solitudine, violenza o odio che non siano soggetti alla benevola e illuminata amministrazione dei nostri educatori mediatici. L’eco di guerre lontane e di remoti orrori ci raggiunge come un salutare monito e l’occasionale irrompere di brutalità sanguinarie nel nostro quotidiano non fa che rinforzare l’incrollabile fede che ci unisce tutti nella Necessità della Grande Macchina. Non dobbiamo temere nulla: se noi daremo loro la nostra incondizionata fiducia, Uomini Forti e Puri faranno piazza pulita della Corruzione, del Male e del Crimine che insidiano la nostra felicità…

Noi odiamo chi dobbiamo odiare, amiamo che dobbiamo amare, ignoriamo chi dobbiamo ignorare. E chi “rema contro”? I diversi, i dubbiosi, i devianti, i dissenzienti?... Oh, che continuino a cantare le loro canzoni. Nessuno – che già non sia come loro – li ascolterà.

Tutto questo vi suona sinistro? Vagamente posticcio e inquietante? O forse, un po’ troppo… familiare? Non temete, è solo un’allucinazione distopica, solo immaginazione… solo fantascienza.

PS - Le immagini di questo post sono tutte di mia esclusiva proprietà.

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Il 28 giugno 1944 una V1 tedesca si abbattè con furia distruttiva su un appartamento londinese sito in Maida Lane lasciando i suoi occupanti – che fortunatamente in quel momento si trovavano altrove – letteralmente “in mezzo alla strada”. Si trattava, bisogna dirlo, di una famiglia un po’ particolare. Accanto all’amata Eileen e al piccolo Richard (il bimbo che la coppia aveva adottato da pochi giorni), viveva infatti un giornalista-attivista instancabile, combattente antifascista, esploratore dei bassifondi delle città europee (così come di quelli dello spirito umano), nonché romanziere ormai sulla soglia di un successo mondiale a lungo sfiorato… Il libro con cui stava rapidamente scalando le vette della fama era una satira del Potere e delle sue metamorfosi, di come sia capace di corrompere dall’interno ogni rivoluzione, mutando un anelito di libertà collettiva nella feroce dittatura di pochi. La fattoria degli animali (1945) – di questo si parla – è in un certo senso il passo decisivo che Eric Arthur Blair – cioè George Orwell – compie fuori dal recinto del realismo letterario in cui ha fin qui pascolato. Di per sé non è che una rivisitazione dell’antica tradizione greco-latina della favola edificante, ma è anche quanto basta per spingerlo a prendere coscienza di un altro potere: quello dell’affabulazione fantastica.

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“Chiunque abbia la capacità di pensare non può vivere in una società come la nostra senza provare il desiderio di cambiarla…”. Eric/George vede le cose così per come sono, e di capacità di pensare ne ha fin troppa. Per questo, è terrorizzato dall’idea che nulla possa realmente cambiare. Alla fine del secondo conflitto mondiale, davanti a sé contempla la distesa infinita di macerie – fisiche e morali – che ha per sempre sommerso l’Europa e scorge oltre l’orizzonte immediato della storia il sorgere di nuove tirannie, nuovi sonni della ragione, nuovi orrori. A tutto questo decide di dare una forma comunicabile, costruendo un’architettura letteraria che è il ritratto di un’intera epoca e delle sue angosce. Un’epoca che – insieme a milioni di morti – ha lasciato dietro di sé ogni speranza, e si prepara a congelare l’umanità in una mortificante, eterna Guerra Fredda. Lo scrittore immagina un totalitarismo perfetto e onnipervasivo, quello delle terre di Oceania, dove le masse sono controllate da una miscela di terrore e propaganda, dove persino le emozioni e la sessualità sono organizzate e amministrate dal partito-regime, dove ognuno è costantemente spiato da un Occhio Elettronico, misurato dalla Psicopolizia, ipnotizzato da grottesche coreografie pubbliche, influenzato dalle manipolazioni della Neolingua… il tutto nell’abbraccio paterno e stritolatore dell’inafferrabile Big Brother. Uno spasso, insomma.

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“Il Partito diceva che l’Oceania non era mai stata alleata all’Eurasia. Lui, Winston Smith, sapeva che appena quattro anni prima l’Oceania era stata alleata dell’Eurasia. Ma questa conoscenza dove si trovava? Solo all’interno della sua coscienza, che in ogni caso sarebbe stata presto annientata…”. Sono passati settant’anni dalla nascita di 1984, il romanzo-culto di George Orwell, il monumento letterario destinato a diventare un “classico”… Settanta lunghi anni che sono serviti soprattutto a immergerlo nella formaldeide e imbottirlo di naftalina, perché – una volta riposto in fondo all’armadio degli Ammirevoli Cimeli – non potesse più pungere le nostre coscienze. Possiamo continuare finché vogliamo a ripetere a pappagallo che 1984 non è altro che una satira della Russia stalinista, ma sappiamo che non basterà. La disperata lotta del povero Winston è, a ben vedere, la lotta che ognuno di noi combatte dentro e fuori di sé ogni giorno. Per mettere chiarezza in una realtà sempre più complessa e opaca, in un sistema di vita che occulta le proprie violente contraddizioni dietro manifesti colorati (come accade – ricorderete – nel capolavoro di Terry Gilliam, Brazil, del 1985) e confonde memoria e fandonia in un minestrone insapore… “La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei con quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento”, ha scritto il grande storico Eric J. Hobsbawm, nel 1994. C’è di che riflettere, che ne dite?

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Poiché non sono ancora impazzito del tutto, non mi inoltrerò ulteriormente nelle infide lande dell’Interpretazione. Ciò che, viceversa, trovo irresistibile – pur nella loro cupa malinconia – sono le circostanze in cui l’opera capitale di Orwell (che è anche l’ultima) prese forma. Dopo il missile del 28 giugno, quello che distrugge il loro appartamento, un’altra catastrofe si abbatte sulla famiglia Blair in quel terribile 1944: è la scomparsa dell’adorata Eileen, che muore sotto i ferri a marzo, durante un intervento di isterectomia. Nel ’45 l’umanità esce dal massacro globale consacrando l’incipit dell’età atomica, proprio mentre La fattoria degli animali consacra il successo del suo autore. Eric Arthur Blair fugge dalla notorietà, dalla ferocia del mondo (e forse anche dai sintomi della tubercolosi polmonare che lo tormenta fin dalla gioventù) rinchiudendosi a più riprese nella fattoria di Barnhill, sulla remota isola di Jure, nell’arcipelago delle Ebridi. È qui, in quelle fredde e vuote stanze, che 1984 viene lentamente al mondo, tra mille correzioni e rifacimenti. Il primo titolo che lo scrittore gli dà è The Last Man in Europe, un titolo in cui risuona il canto degli arbusti piegati dal vento, il cielo stellato delle notti infinite, il passo strascicato di Orwell su e giù per le scale della vecchia magione, il ticchettìo metallico della macchina per scrivere… La solitudine infinita di un uomo rimasto vivo in un mondo ormai distrutto.
Grazie, e arrivederci a presto.

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Ciao, perdona l'ignoranza, sono mai stati tratti dei film dal libro?

Ciao @roch66! Dunque... per quanto ne so, esistono due versioni cinematografiche: una, firmata da Michael Anderson nel 1956 e arrivata in Italia con il buffo titolo "nel 2000 non sorge il sole" e quella decisamente più rigorosa di Michael Radford, uscita proprio nel 1984. In più, la BBC ne ha realizzato un adattamento televisivo già nel 54... Infine, credo di aver sentito parlare addirittura di una messa in scena operistica, ma non l'ho mai vista. Spero di essere stato esauriente.

Grazie mille! Gentilissimo come sempre.