Torniamo ad Omero ~ Saggio breve [ITA]
Scappano dai loro paesi alzando polveri, calpestando sassi per raggiungere e navigare il mare, rischiano la vita forse riuscendo o forse no, chi giunge alla meta si adatta alle turbate condizioni di costante spostamento tra paesi per cercare una fortuna in queste terre organizzate secondo le nostre direttive. Questi sono i profughi d'oggi, ai quali imponiamo limiti territoriali in un mondo di confini concettuali, trovando anche la facoltà soggettiva di assegnare il pregiudizio ad ogni faccia, colore e forma che vediamo con i nostri occhi. Si troveranno quindi limitati, dai tabù del luogo, nell'occupazione lavorativa, sotto giudizio del popolo autoctono possessivo nei confronti della propria professione e persino limitati da leggi che anche se regolarmente corrette minacciano il diritto umano di esplorare e tastare senza frontiere il mondo. Focalizziamo l'attenzione sull'incessante giudizio popolare, ragionare e argomentare le proprie tesi sapendosi impreparati sull'argomento indica una forte insensibilità e mancanza di valori etici, basti pensare che i primi poemi epici greci erano già più virtuosi nei diritti di quanto la gente lo sia oggi. Leggendo l'Odissea di Omero prendiamo atto che poco o nulla è cambiato nel giudizio dell'uomo nei confronti dello straniero, ma già allora qualcuno si spingeva oltre le paure di una cultura difforme come vediamo in questi versi nei quali Ulisse giunge nella terra dei Feaci: "Dove fuggite al veder un uomo? Pensate forse che sia un nemico? Non c'è tra i mortali viventi, ne mai ci sarà, un uomo che venga alla terra dei Feaci a portar la guerra [...] Ma questi è un infelice, giunge qui ramingo. Bisogna prendersi cura di lui, ora: che vengono tutti da Zeus, forestieri e mendichi, e un dono anche piccolo e caro". Persino nel Deuteronomio della Bibbia troviamo interessanti passi che spingono ad aiutare gli stranieri: "Non lederai il diritto dello straniero o dell'orfano e non prenderai in pegno la veste dalla vedova; ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto". Il lavoro è una libertà ed un dovere per tutti, ciononostante alcuni associano la causa della crisi economica come conseguenza dello sbarco degli stranieri che cercano un impiego sulle nostre terre, quasi come se fossero spinti a trovare una possibile motivazione al disagio economico che si sta vivendo, allettandosi a gettar "fuori il fondo d'animo: carico di male che si tiene dentro per anni e nessuno si accorge di avere" [D. Buzzati, Non aspettavamo altro] e diventando pertanto una gara violenta il cui vincitore sarà chi troverà le migliori parole per colpevolizzare l'uomo che scappa da vittima del proprio paese. Si ritorna al fil conduttore, al parere per cui poco o nulla è cambiato nel tempo, l'uomo ha sempre paura dell'antitetico soprattutto in un momento di crisi generale, sembra quasi di ritornare alla peste del 1640, nella quale i cittadini cercavano la causa della calamità che li stava affliggendo associandola solitamente al misterioso untore, colui che, secondo loro, la stesse scaturendo: "l'untore, dagli! dagli! dagli all'untore! Allo strillar della vecchia, accorreva gente di qua e di la; [...] abbastanza per poter fare d'un uomo solo quel che volessero." [Manzoni, Promessi Sposi], era quindi l'untore, come l'immigrato, il capro espiatorio ideale.
Ignoriamo dunque altre civiltà, etichettandole a distanza di sicurezza, attribuiamo questa terra come nostra, dividiamo il pianeta in parti e separiamo l'uomo in razze, ostacoliamo la speranza di evolvere culture difformi per la paura della reazione di ciò che appare diverso.
Belle parole, riflessive, complimenti, davvero bravo!
Grazie, apprezzo
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