Storia di un fotografo per la strada e della sua macchia di luce.
Adesso si chiama street,
da strada, la cosa di portarsi dietro la macchina fotografica quando si esce e riprendere cose che succedono intorno. prima si chiamava “mi porto la macchina” oppure, per i più colti, fotoreportage.
Quelli famosi erano, tra gli altri, Alfred Eisenstaedte, la foto del marinaio che bacia l’infermiera a times Square per intenderci, Cartier Bresson, romantico e nudo allo stesso tempo, Robert Capa, il mio preferito, reporter di guerra saltato su una mina anti uomo ed autore di ritratti di Sicilia commoventi e netti, del miliziano morto in Spagna, dello sbarco in Normandia, ecc ecc..
tutto rigorosamente in analogico. perché altro non c’era.
significava scegliere il rullino dentro la macchina in base al tempo ed alla luce, con numero di scatti limitati. e che alla fine dovevi o sviluppartelo da te, attraverso una camera oscura, o portarlo a sviluppare da un fotografo. a colori o B/N.
i fotografi di cui ho parlato usavano la Leica, una macchinetta piccolissima ma dalle lenti incredibili. Costo esorbitante ancora oggi.
io, nel mio piccolo, ho cominciato con una macchina russa dal nome crudele ed impronunciabile (scritto in cirillico). irriportabile.
la macchina era un dono di un amico, tale Lallo, incontrato e vissuto alla casa dello studente di Roma nell’anno 1996. via De Lollis, per la precisione.
Da lui comprata in un mercatino per poche mille lire, e poi regalatami, la macchina era bella e russa.
esco e fotografo. penso, faccio.
prime foto senza sapere nulla. rullino da 100 asa, da sole pieno, tempi casuali, apertura diaframma casuale.
24 foto, sviluppo, attesa, pagamento, foto stampate.
un po’ di magia, tanta delusione.
nulla è come volevo. alcuni scatti sono bruciati, bianchi, sovraesposti; altri bui, neri, tagliati.
eppoi c’è quella luce rossa impressa (fotografando a colori) o luce bianca (fotografando in b/n). lato alto. destra sinistra o niente a seconda di non so cosa.
la uso lo stesso anche se entra luce dall’obiettivo, o dal corpo macchina.
mi piace fotografare; il peso della macchina, uscire con lei per le strade, portarla dietro dove vado.
a Roma. in viaggio. in bianco e nero, a colori.non ho soldi per nient’altro. ho quella. e me la faccio bastare.
anzi. le voglio più bene perché difettosa, perché zoppica, perché balbetta. la abbraccio più forte.
lei lo sente. e mi fa vedere Roma
in una pausa di un tassista
in una partita a scacchi
al mercato di Campo de fiori
in un pagliaccio in pausa
in un novizio serissimo e nel suo superiore
Finisti schiacciata sotto le ruote di un tir sull'autostrada in prossimità di Savona qualche anno dopo.
poi ci fu una Canon ae-1, una mamiya rb-67, una Holga ed altro altro e altro ancora sino alla mia fujifilm mirrorless xt-10.
digitale.
piccola, asciutta, perfetta.
senza neppure una macchia di luce.
eppure...
ah. le immagini sono tutte mie. sono foto di foto.
grazie per la pazienza.
Bellissime foto!
grazie mille
Bravo, bellissime foto nell'ambito di una bella "storia"
grazie. tutto vero. anche il tir, purtroppo.
immaginavo :'(
Foto magiche, quelle in analogico.
Per un po' le ho scattate anche io, ma con una semplice automatica, sempre con rullino, ma non potevo impostare praticamente nulla. Poi è arrivato il digitale e studio con quello. Ma ho sempre voglia di provare a scattare in analogico. :)
Ah, tra i fotografi di strada dalla storia "magica", c'è anche Vivian Maier. Il film sulla sua scoperta lo straconsiglio :)
ho in mente da un po’ un post sulla differenza esistenziale tra le due tecniche.
Belle
grazie davvero.
Belle foto e bell'articolo... anche a me piace molto la fotografia ma ancora sono a livello basico perchè ammetto di non dedicarmici molto... magari continuo a leggere te così imparerò cose nuove! ;)
ti ringrazio. la fotografia è un mondo affascinante e, a mio modo di vedere, molto istintivo. cercare qualcosa che tu credi esistere..