Rivoluzione Ambientale - Capitolo I : "Le radici del rapporto tra uomo e natura"
A partire dagli anni 70 la gran parte delle persone, ha iniziato a sviluppare singolarmente e collettivamente (con molte battaglie d'informazione e grande fatica) una sorta di sensibilità rispetto allo spazio da cui è circondato e per il quale ha cominciato a porsi domande e a porre maggiore attenzione a ciò che fino a ieri sembrava scontato e quotidiano . Ormai, non più come una sorta di paranoia collettiva, il problema dei cambiamenti climatici ed ambientali si presenta all’uomo contemporaneo come un dato di fatto inevitabile, un grosso problema al quale è impossibile voltare la faccia.
Qualcosa infatti sembra muoversi nella nostra società europea/occidentale che in parte sta prendendo a carico vari temi riguardanti l’ambiente. Un’ ampia fetta della popolazione sembra aver preso coscienza della situazione e la maggior parte delle volte agisce secondo norme scritte e non, regolate da un concetto chiave, oggi più che mai discusso : l’etica.
Potremmo parlare a lungo di questa tematica che scalda i dibattiti attuali, ma avremo il tempo di arrivarci successivamente. Per ora proveremo solo a dargli un’inquadratura generale dicendo che l’etica potrebbe essere definita come un insieme di comportamenti reputati collettivamente corretti, che regolano e influiscono la vita di un individuo.
[pixbay.com][Ecologia]
Ora invece vorrei provare a cercare di entrare un po’ più nel dettaglio ed andare ad analizzare più a fondo le origini di una visione che ci ha portato fino a questo punto e fino a queste condizioni. E’ vero, fino a poco prima ho sostenuto che l’uomo contemporaneo sta riuscendo a sviluppare una sensibilità ecologica e dei comportamenti consoni al rispetto dell’ambiente, ma diciamolo, forse sono stato troppo buono e ottimista.
Non è raro infatti vedere situazioni opposte a quelle sopracitate, dove l’uomo sembra smarrito e preso d’assalto da un completo egoismo ed egocentrismo. La cruda verità è che l’uomo non riesce ancora a contestualizzarsi nella natura ma pensa di poterci giocare a suo piacimento con risultati disastrosi e spesso non prevedibili. Ma da dove arriva questo egoismo e questa incapacità di rapportarsi alla natura senza esserne il dominatore assoluto?
Per trovare la risposta bisogna risalire alle radici della nostra cultura e paragonarla con un’altra che sotto questo aspetto ha perso notevolmente la partita. Mi riferisco alla cultura giudaico-cristiana, che indubbiamente ha prevaricato e dominato sulle nostre vite e i nostri comportamenti/valori. C’è da chiedersi come queste due culture interpretavano la natura e se ciò abbia avuto effetti anche sulle nostre vite.
Partiamo dunque dalla comparazione della cultura greca a quella cristiana e iniziamo nel dire che la prima concepisce la natura come uno sfondo immutabile nella quale gli uomini traggono dalle leggi di natura, le regole per fondare le Polis ( Città – Stato) e le leggi per il buon governo della Psiche ( anima ). Una natura creata da nessun uomo e da nessun Dio . > Questo cosmo non lo fece alcuno degli dei né degli uomini ma sempre era, ed è, e sarà, fuoco sempre vivente che con misura divampa e con misura si spegne< (Eraclito, frammento 2). Balza subito all’occhio come Eraclito intuisca in modo attento l’aspetto regolatore ed armonico attribuito alla natura, comparando quest’ultima ad un fuoco vivente che con misura divampa e con misura si spegne.
Nella cultura giudaico-cristiana invece sembra essere l’opposto. La natura non è concepita dunque come quello sfondo immutabile che nessun Dio e nessun uomo fece, ma viene rappresentata come il frutto e la volontà di Dio messa a disposizione per gli uomini. Ne è testimonianza pratica un passo della genesi: > Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela<. Dunque, l’uomo perde quel senso di smarrimento in rapporto alla natura, e prende posto così al vertice della piramide.
Dio quindi “comanda” all’uomo, tra le righe, di non impegnarsi nel cercare un equilibrio intorno a se stesso, ma di soggiogare tutto ciò che lo circonda. Una natura chiusa sotto il sigillo del dominio. E ancora, Platone dice: > O uomo meschino, non pensare che questo universo sia fatto per te, tu piuttosto sarai giusto se ti aggiusti all’universa natura e all’universa armonia<. Ancora una volta dunque si ha una testimonianza di come l’uomo non sia visto al vertice, ma subordinato alle leggi della natura. Meglio ancora, l’uomo nell’antica Grecia veniva affiancato alla natura come un essere vivente che, come qualsiasi altro, nasce, cresce e infine muore.
Questa cosa invece non sembra essere contemplata nel Cristianesimo, che ha come suo credo e speranza la vita eterna. > Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna< - Antico testamento, Libro dei Maccabei. Da notare il capovolgimento dei ruoli: l’uomo non vive e muore seguendo le leggi di natura, ma quelle del re dell’universo.
Inevitabilmente, negli anni a seguire si sviluppò un’etica/morale di stampo cristiano, che tutt’oggi regola e disciplina la nostra vita. Tanti sono i casi che si potrebbero citare per far intendere come quest’etica sia arrivata fino ai giorni nostri, e come tutt’ora domini le nostre anime. Ad esempio, possiamo parlare dell’ordine giuridico europeo, che giudica la colpevolezza dell’individuo a partire dalle sue intenzioni di fondo; non a caso esistono i delitti colposi, intenzionali, preterintenzionali, meditati, premeditati ecc. Questo sistema è basato inevitabilmente su una morale Cristiana; anch’essa, infatti, giudica la responsabilità nel compiere le azioni a partire dalle intenzioni che le hanno promosse. Oppure, quando mettiamo in atto comportamenti etici verso un altro individuo, come la famosissima frase “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” che viene ripresa da Gesù letteralmente “tutte le cose che volete che gli uomini vi facciano, anche voi dovete similmente farle loro”.
Abbiamo notato quindi, che di fatto quest’etica si concentra unicamente a interdisciplinare solo i rapporti fra gli uomini, ma non cita minimamente di farsi carico degli enti di natura, creando a sua volta una morale rivolta ad essa. Non è un caso che per riferirsi a dei beni naturali, la nostra società utilizzi il termine “risorsa” come se quel bene fosse già inconsciamente catalogato come qualcosa da sfruttare a nostro vantaggio.
Abbiamo accennato quindi a una piccola parte di questa morale/etica controversa ed affascinante allo stesso tempo, tuttavia non sembra dare riscontri positivi per quanto riguarda un adattamento al discorso ecologico attuale. Infatti l’etica funziona solo quando viene interiorizzata in ciascuno di noi e diventa contenuto psichico. Questo vuol dire che, se domani uscendo di casa dovessi ferire fisicamente una persona in modo grave, il gesto verrebbe catalogato negativamente perché è interiorizzato in ciascuno di noi come qualcosa che va contro un principio morale di base. Ma se domani uscendo di casa dovessi buttare un mozzicone di sigaretta in un prato o dovessi inquinare un fiume, scatterebbe la stessa risposta accomunata da un’etica condivisa ed interiorizzata? (Con questo non voglio paragonare assolutamente le due cose a livello di gravità, cercate di intendermi). Nella maggior parte dei casi la risposta è no.
In conclusione, penso che oggi abbiamo il bisogno di sviluppare un’etica comune, che abbia alla base il rispetto e la considerazione della natura e che metta l’uomo in un contesto armonico con essa. Ma come abbiamo notato spesso c’è un’altra forza che mette i piedi sul freno.
A sostegno della mia tesi, proviamo ad elevare un altro problema ambientale che oggi divide la società: l’inquinamento e la deforestazione procurata dagli allevamenti intensivi. Se dovessi dire ad una persona “normale” che l’unico modo per evitare questo grave problema sarebbe quello di diminuire drasticamente il consumo di animali, considerandoli, quindi non più come oggetti da sfruttare per un godimento culinario personale, ma come esseri viventi da rispettare, questa mi catalogherebbe come un verde, un vegano, un antispecista ecc. Non a caso questi gruppi vengono adocchiati come minoranza stramba o comunque, ridicola e disprezzata. Sarebbe dunque inconcepibile per quella persona, smettere di mangiare animali per il bene collettivo. E tutto ciò perché? Perché come abbiamo detto poc'anzi, l’etica funziona solo se interiorizzata intrinsecamente e, l’etica cristiana di dominazione verso gli altri animali è ben iscritta dentro di noi e scatta come una molla nel momento opportuno.
Sia chiaro, questo scritto non è un tentativo disperato di demonizzare o screditare la Religione Cristiana e la sua morale, ma di cercare di centralizzare il focus su ciò che inconsciamente ci frena e stabilire un rapporto armonico con ciò che ci circonda. Il cristianesimo quindi, non è la causa della stupidità dell’uomo in relazione alla natura ma bensì, una mela marcia che non vuole staccarsi dall’albero. Dobbiamo mettere in discussione i nostri valori e ciò che sembra più scontato nella vita, se vogliamo costruire, come diceva Murray Bookchin, una società ecologica, ma per farlo dobbiamo far cadere questa mela.
Non manca mai la foto dell'autore, che cerca di rappresentare la bellezza di un paesaggio in una foto. Questa foto è stata scattata la scorsa primavera, su una sponda del lago di Varese.
Fighissimo post :d
Dopo ">" serve lo spazio
grazie, non me lo ero ricordato.
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