11. Controcorrente (parte seconda)steemCreated with Sketch.

in #ita6 years ago (edited)

Non appena la tensione si allentò, Ilharess avvertì un senso di vertigine che la fece vacillare. «Devo aver bevuto troppo», lamentò, pallida in viso; Adamant le passò un braccio attorno ai fianchi e la aiutò a sedersi.
«Devi mangiare», ordinò Calíma, perentoria. Un brontolio allo stomaco le confermò che sua madre, come al solito, aveva ragione.
Margareth le portò un bicchiere d'acqua, poi cominciò a ripulire il pavimento disastrato.
Si misero tutti a tavola, attorno a quanto rimaneva degli antipasti; «Dovresti mangiare anche tu, Ingolf», disse Calíma, ma il marito la ignorò.
Aveva ripreso a tracannare birra, apparentemente rassegnato.
«Ho una domanda», disse Adamant, dopo aver vuotato la sua coppa. «Cosa ti manca, sorella? Cos'è che questa famiglia non può darti? Cosa pensi vi sia fuori da questa città, che qui non puoi trovare?»
Ilharess mandò giù una tartina e rifletté. «Non lo so», fu costretta ad ammettere; «immagino sia proprio ciò che devo scoprire.»
Adamant si appoggiò allo schienale e unì le mani sotto il mento. «E se invece di avere troppo poco, avessi troppo? Hai condotto una bella vita fino ad oggi: sei sicura di starne cercando una nuova, e di non stare invece aggrappandoti a quella vecchia?»
Lo sguardo di Ilharess si offuscò: «È davvero ciò che pensi di me, fratello?», mormorò, sentendo gelarsi il cuore. «Una bambina viziata? Tutto qui?»
Adamant scosse il capo con decisione. «Dimentichi con chi stai parlando: non sono tuo padre né il tuo signore, e non sta a me formulare giudizi, né intendo farlo. Sono tuo fratello, e tutto ciò che voglio è comprendere
«Allora sei fortunato, giovane guerriero.»
L'Ammiraglio trasalì e sgusciò via dalle braccia di Calíma, defilandosi col posteriore bene in vista.

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(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)

«Sembra che non piaccia ai felini», disse Innos, facendo un passo avanti. Ingolf posò il boccale e tossì violentemente: la birra gli era andata di traverso.
«In compenso, prode Adamant, si dà il caso che chiarire dubbi sia la mia specialità.»
«Si può sapere perché qui non bussa mai nessuno?», protestò Ingolf; «Io me ne sto qui e tutti... puff!», gesticolò, «semplicemente compaiono. Potevate avvertirmi che sareste diventati dei fantasmi, prima che spendessi una fortuna in porte e infissi.»
Il vecchio lupo di mare li guardò ridere di gusto, ancora più infastidito. «Cosa c'è adesso? Ho la sensazione di essere l'unico che non si aspettava altri ospiti, e non mi piace. Non so voi, ma nella mia giornata c'è un limite alle sorprese.»
«L'ho invitato io», lo interruppe Ilharess, «senza avvertire nessuno di voi. Ho preferito limitare ogni discussione a quest'oggi, per evitarvi altri grattacapi, e perché mi auguravo che il maestro potesse incontrare anche la famiglia di Bastian oltre alla mia.»
«Forse ho capito perché stavano litigando sul ciglio della strada», commentò Innos con distacco, osservando alcuni rimasugli di cibo sulle piastrelle di marmo striato, «ma non ha importanza. Se sono qui è per consegnare il mio regalo di compleanno alla più brillante delle allieve», disse con un sorriso, posando sul tavolo una piccola busta di carta; poi si rivolse a Ilharess e chinò il capo solennemente: «Benvenuta al mondo, giovane donna. Possa il tuo cammino essere lungo e glorioso.»
Perplesso, Ingolf sospirò: «D'accordo, d'accordo», concesse. «Se mia figlia ti vuole al suo pranzo, mettiti comodo e godine a volontà», e sollevò per un momento il boccale al suo indirizzo.
Innos si produsse in un sontuoso inchino: «Ti sono grato per la tua ospitalità, messere! Farò di tutto per alleviare le tue preoccupazioni, è una promessa.»
Nessuno ebbe l'ardire di correggerlo, sebbene tutti in città sapessero che il piccolo palazzo a due piani era appartenuto al padre di Adamant: lui e la madre ne erano gli unici eredi, stando alla Legge degli Uomini.
Nel vedersi omaggiare come il padrone di casa, Ingolf sembrò rasserenarsi: «Ti chiedo solo di parlare prima di sfamarti», disse con fare bonario. «C'è chi ama discutere a pancia piena, ma non è il mio caso: pare che il mio stomaco tenda a chiudersi quando sto sulle spine.»
«Ingolf non è l'unico», disse Adamant, che era rimasto immobile; anche Calíma annuì, il collo aggraziato teso in direzione dell'anziano maestro.

Innos si diresse verso il barile della birra. «Marinai e cavalieri», rammentò, «spose e sacerdotesse. Quattro sentieri, come i quattro punti cardinali che guidano gli uomini e le stelle. Si dice tuttavia che esista un quinto punto, verso cui gli uomini non possono più orientarsi: una rotta verso mondi perduti. Allo stesso modo, vi sono su questo mondo altre vie che le genti non considerano.»
Ingolf vuotò nuovamente il suo boccale, per poi alzarsi trascinando fastidiosamente la sedia. «Lascia fare a me», berciò nel vedere Innos armeggiare con la spina. «Senza offesa, ma per questa generazione ne abbiamo già avute abbastanza, di altre vie. Vie che portano a pance gonfie e tasche vuote, se capisci cosa voglio dire; e questo nel migliore dei casi.»
Calíma si irrigidì e trafisse il marito con lo sguardo; Ilharess arrossì.
«Mi dispiacerebbe sapere che mi ritieni un cattivo esempio», rispose Innos cortesemente, «ma non temo di essere smentito, se dico che saresti il primo; eppure non sono un marinaio né un cavaliere, se mi guardi bene. Non ho scelto né il mare, né l'acciaio, ma nessuno mi ha mai rinnegato; al contrario, oserei dire che non me la passo così male.»
«Hai più l'aria di una sacerdotessa, in effetti», disse Ingolf, sghignazzando nell'osservare le lunghe vesti scure del maestro; nessuno tuttavia sembrò apprezzarne l'ironia.
Innos storse la bocca, ma non replicò. «Sono ospite fisso al Palazzo dei Principi», proseguì, «godo di una discreta reputazione e ho tutto ciò che mi serve. Non appartengo del tutto al mondo, eppure esso continua ad accogliermi. Non potrei permettermi una nave come la tua, probabilmente, ma in molti mi riterrebbero ugualmente un uomo di una certa importanza.»
Ingolf si versò un'altra mezza pinta, dopo averne consegnata una al loro ospite. Rimase di fronte a lui, sorseggiando lentamente; la sua era la calma dell'orso, sempre pronta a frantumarsi da un momento all'altro. «Cosa stai cercando di dirci, scrivano? È questo che sei, dico bene?», domandò, e ai presenti sembrò di cogliere un che di derisorio in quell'appellativo, ma ancora una volta nessuno fiatò.
«Aprila, Ilharess», disse Innos.

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(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)

La ragazza era rimasta ad ascoltare con la busta di carta tra le dita, ancora incredula per quel regalo inaspettato. Sembrava vuota, a un primo esame, ma aveva un peso. Per un momento, stupidamente, Ilharess temette qualche strano scherzo: cosa poteva avere in serbo Innos? Pur frequentandolo dal principio dell'adolescenza, sapeva poco di lui; le loro lunghe lezioni avevano sempre riguardato la storia della città e del regno, la poesia e lo studio delle lingue morte, mai la loro vita personale. Quando incontrò il suo sguardo, ebbe la strana sensazione che la persona con cui aveva parlato più a lungo fosse quella che conosceva di meno.
«Non posso crederci», disse istintivamente Ingolf, soffocando a stento un gemito; «volete davvero farmi venire un colpo.»
Dapprima, Ilharess non seppe come interpretare il minuscolo oggetto che reggeva sul palmo; un anello cesellato, fatto d'argento a prima vista.
Ne osservò il motivo, con un sorriso incerto; non aveva mai ricevuto un simile dono, non da un estraneo alla famiglia almeno. Come avrebbe reagito una gentildonna in un momento del genere? Che cosa avrebbe detto?
Mentre se ne stava imbambolata, i contorni del gioiello assunsero un aspetto familiare: quello di una penna e un calamaio, ritagliati con spaventosa perizia, tanto che osservandoli da vicino era possibile intuire le venature della penna.
A un tratto comprese, e rivolse a Innos un sorriso carico di meraviglia.
«Voglio solo sapere una cosa.»
Ingolf raccolse entrambe le mani attorno al suo boccale, le membra tese come quelle di una belva pronta a scattare, ma con occhi come privi di vita. «Non farò niente, ma devi dirmi una cosa. Qui, davanti a tutti», pronunciò lentamente.
«Devo sapere se mia figlia è ancora intatta, o se me l'avete fatta sotto il naso.»
«Padre!» Ilharess balzò in piedi. «Cosa ti viene in mente?! Questa è la cosa più... più...»
Innos scoppiò improvvisamente a ridere, rischiando di rovesciare la birra addosso alla povera Margareth.
Ilharess cercò disperatamente di trattenersi, con il palmo premuto sulla bocca; lacrime di ilarità affiorarono in un men che non si dica, mentre le gote diventavano paonazze.
«No, mio signore! Tu non capisci!», riuscì a dire Innos, quando ormai Ingolf era sul punto di frantumargli il boccale in faccia; la mano sollevata dello studioso lampeggiò per una frazione di secondo.
Al dito indice portava un anello identico a quello di Ilharess.
«Il simbolo del mio ordine! Tua figlia è entrata nell'ordine!»
Ingolf abbassò lentamente le braccia, ma continuò a incombere in tutta la sua stazza sull'anziano uomo di lettere, nonostante i severi richiami di Calíma.
«Spiegatevi, e in fretta.»
Adamant si rimise furtivamente in piedi.

Innos fece un lungo respiro e abbracciò con lo sguardo l'intera famiglia: «Ordine dei Bibliotecari del Re», dichiarò. «È una posizione vantaggiosa e invidiabile; se non ne avete mai sentito parlare è perché non siamo soliti fare proseliti. So che ai tempi di Gemma Verde venivano emessi dei bandi pubblici, e molti giovani venivano incoraggiati a percorrere tale via; buona parte di essi, tuttavia, se ne approfittava per altri scopi e così, con l'andare del tempo, siamo diventati più discreti.»
Ingolf lesse nello sguardo dei suoi e vi trovò la medesima incertezza; soltanto gli occhi blu di sua figlia sembravano brillare, di una luce che non intravedeva da tempo.
«Posizione vantaggiosa? È davvero tutto qui, figlia? Dicevi di voler partire, e ora sembra che il tuo unico sogno sia di trascorrere il resto dei tuoi giorni china sui libri.»
Ilharess esitò, ma Innos intervenne nuovamente: «Credo tu ci stia sottovalutando, Ingolf, e di molto.»
Per la prima volta, vi era una nota di fastidio nella voce del maestro; Ilharess lo vide sollevare le spalle e sostenere lo sguardo di suo padre con un vibrante orgoglio.
«Abbiamo facoltà di viaggiare, di ottenere udienze, riconoscimenti e inviti; la maggior parte di noi lavora a stretto contatto con la nobiltà dell'Ovest, siede ai loro consigli e mangia alle loro tavole, e questo senza rinunciare a nulla... o quasi.»
«È per questo che alcuni potrebbero approfittarsene, a detta tua?», si intromise la voce pacata di Adamant. Muovendosi felpatamente, era andato a posizionarsi accanto alla sorella. «Vorresti dire che servire gli Dei, la famiglia e il proprio signore non è altrettanto invidiabile?» Anch'egli sembrava ormai in procinto di spazientirsi, cosa più unica che rara.
«Sto dicendo che le vostre posizioni sono più rischiose», disse Innos, dopo aver ponderato attentamente le parole. «I libri non hanno mai fatto male a nessuno, ma non possiamo dire lo stesso né della spada, né del letto di una partoriente. Per non parlare di chi viene inghiottito dalle onde, o di coloro che avvizziscono a poco a poco dopo essersi rinchiuse in qualche tempio, finendo con l'impazzire. La prospettiva di una vita al riparo da scomodità e imprevisti, invece, ci espone a chi cerca una scorciatoia per scampare ai propri doveri, senza possedere una vocazione autentica per questo lavoro; e il nostro, mio giovane amico, è un lavoro che può rivelarsi estremamente deleterio se svolto in modo inappropriato. Per questa ragione non avevo mai nominato nuovi Bibliotecari, sebbene fosse mio diritto. Ciascun membro dell'ordine ha il diritto di nominarne di nuovi: ecco un altro aspetto che potrebbe facilmente ritorcersi contro di noi, se considerato con troppa leggerezza.»
«Hai elencato alcuni privilegi, ma non ho ancora sentito parlare di obblighi», intervenne Ingolf, sospettoso.
«Ho tenuto per ultima la parte che ritengo ti piacerà di più», gli rispose Innos, per poi bere un lungo sorso di birra.

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(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)

«Non siamo tenuti a prestare giuramenti, né a rinunciare al matrimonio», proseguì, «in compenso possiamo rinunciare alla carica in qualsiasi momento, restituendo l'anello che ci contraddistingue. Il nostro unico dovere è quello di prestare i nostri servigi alla nobiltà, qualora vengano richiesti: ricerche, traduzioni, alberi genealogici sono tuttavia compiti per i quali possiamo esigere un obolo, e in questo modo tua figlia potrà provvedere da sola al suo mantenimento, fino a quando non avrà rimediato un buon partito di suo gradimento.»
Ingolf rimuginò tra sé per qualche secondo, quindi si rivolse alla moglie: «Cosa ne pensi?»
Calíma fissava il vuoto con occhi vacui, completamente assorbita dai suoi pensieri. «A volte penso che non esistano scelte», mormorò lugubre, «ma solo destini intrecciati, percorsi prestabiliti fino all'ultimo granello di sabbia.»
Le sue parole risuonarono come il più fosco dei presagi, e tutti la osservarono ammutoliti. Innos e Calíma si scambiarono un lungo sguardo, infine quest'ultima sospirò: «Nostra figlia sarà sempre e solo nelle mani degli Dei, qualunque cosa decidiamo; per questo non avrebbe senso spezzarle il cuore. Lasciamola partire.»
«Un anno», decise Ingolf. «Sarai di ritorno tra un anno, al massimo. Allora tireremo le somme e ridiscuteremo il tuo futuro.»
Ilharess sorrise incredula, poi infilò l'anello al dito: sembrava fatto su misura per lei.
«Un anno», promise solennemente.
«Molto bene», disse Ingolf, battendosi il ventre con la mano mutilata. «Direi che possiamo rimetterci a tavola.»
«Mi dispiace solo per Bastian e i suoi...», ricominciò Ilharess, ma suo padre la zittì con un gesto sbrigativo.
«Non mi sono mai piaciuti quei tre palloni gonfiati», disse lasciandosi cadere sul suo scranno. «Se nella Terra dei Cavalli nessuno sente la loro mancanza, è evidente che non li ritengono di alcuna utilità. Margareth!» tuonò, «Si può sapere che fine ha fatto il mio arrosto?!»

(Continua...)

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