13. Nove
Belthran chiuse gli occhi ed espirò profondamente, rilassando i muscoli.
Le frecce gli fischiarono nelle orecchie, soffocando le esclamazioni degli uomini colti alla sprovvista.
Contò mentalmente fino a dieci, poi dischiuse le palpebre.
Attorno a lui era improvvisamente sceso il silenzio.
Dal Seggio della Vista, le orbite insanguinate della giovane sentinella lo fissavano come in un ultimo atto d'accusa, la testa che sporgeva dal basamento marmoreo in una posa innaturale, mentre il falco sorvolava placidamente la scena del massacro.
Un rapace troppo intelligente, e una sentinella senza occhi: Belthran conosceva bene quel tipo d'uccello, ma anche quella macabra ironia.
(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)
I Cacciatori si muovevano come ombre danzanti, balzando in punta di piedi di cadavere in cadavere. Qualcuno ebbe un sussulto, ma una pugnalata lo finì prima che potesse mettere mano alla spada.
Ai suoi piedi, il Guardiano del Colle Veggente e il Lord di Forte Veliero giacevano in una pozza di sangue, trafitti da una miriade di dardi.
Si soffermò un'ultima volta a osservare i loro volti: quello del Guardiano sembrava stranamente rassegnato, mentre Numitor appariva ancora più infuriato di quanto non fosse da vivo.
«Ho fame», fu capace di dire all'uomo che l'aveva appena affiancato. «Voglio il lavoro finito e della carne sul fuoco prima di mezzogiorno. Ci siamo lasciati alle spalle un ferito e altri due soldati», lo ammonì, cercando con lo sguardo le sue armi; «staranno già risalendo.»
Il Cacciatore scosse lentamente il capo: «Già fatto.»
Belthran annuì: «Molto bene. Sappiamo anche dove dormivano? Il vecchio diceva che non ci sono sotterranei. Sembrava sincero.»
«C'è un piccolo accampamento sul versante nord», spiegò l'altro. «Da qui non puoi vederlo, ma ce ne siamo già occupati. Non hanno fatto neanche in tempo a uscire dalle tende. È finita, capitano: sono tutti morti.»
Belthran cercò lo sguardo degli altri Cacciatori: i più indossavano fazzoletti o passamontagna, ma di alcuni riconobbe i volti. «Non siamo attrezzati a scavare delle fosse su un terreno del genere», disse a voce alta, «non abbiamo tempo per trasportare tutti questi corpi, e rischieremmo di farci avvistare se li bruciassimo. Possiamo solo depistare eventuali indagini: recuperate le frecce e infliggete colpi di lama a casaccio. Requisite cibo, armi, bestiame e qualunque oggetto di valore. Rivoltate il loro accampamento. Sporcate, rompete e sparpagliate: voglio che sembri una razzia.»
I Cacciatori obbedirono all'istante, taciturni e impassibili. Li guardò muoversi come parti di un unico organismo, perfettamente coordinati tra loro. Ne trattenne uno per la spalla e lo fissò: «Parola d'ordine», gli intimò.
L'uomo mascherato rispose senza esitare: «Dove l'Albero mette radici, il Ladro prospera.»
Belthran gli rivolse un cenno d'approvazione e abbandonò la sua posizione, serpeggiando con grazia tra i corpi martoriati fino a raggiungere il suo arco da guerra.
La spada di Numitor lo attendeva a un passo di distanza; il soldato incaricato di custodirla aveva istintivamente cercato di sguainarla, prima che una freccia lo raggiungesse alla base del cranio.
Belthran gliela strappò dalle mani e si specchiò nel suo acciaio splendente; poi ruotò leggermente il polso, fino a quando i raggi del sole non evidenziarono le rune elfiche incise sul forte.
Il suo sospetto divenne così una certezza: era una delle ultime lame forgiate nella Valle Incantata, dove il Re Mezzelfo si era nascosto per secoli assieme agli ultimi superstiti delle Terre Sommerse.
«Si armano come Elfi, ma non sono Elfi», mormorò lugubre. «Abitano le roccaforti dei Nani, ma non sono Nani. Governano gli Uomini, ma non sono come gli altri Uomini.»
Recuperò anche il fodero e cinse la spada; l'avrebbe tenuta lui, d'ora in avanti.
«Non sono niente», disse avviandosi verso il Seggio della Vista, «se non i figli ingrati di un dio capriccioso, capaci di demolire il loro stesso reame per poi depredare impuniti le terre altrui.»
Salì i vecchi gradini cosparsi di muschio e superò il corpo della sentinella.
«Parassiti», decretò, sedendo sull'antico trono.
Una forza invisibile lo investì inaspettatamente, inchiodandolo con le mani aggrappate ai braccioli e la nuca premuta contro il ruvido schienale; si sentì come un gigante capace di sorreggere il mondo nel palmo della mano, e di scrutarne da vicino ogni sfaccettatura.
La sua mente sorvolò le Terre Brulle e spaziò attraverso Boscoverde; individuò il Colle Nudo, dove alcuni suoi simili vivevano ancora in pace. Li vide nelle loro vesti bianche, intenti a intrecciare ghirlande e intagliare il legno, ma non trovò lei.
Si aggirò tra gli Uomini della Valle nei loro mantelli rossi e verdi, superò Monte Solitario e sbirciò tra i cadaveri ghiacciati che ricoprivano l'Arida Brughiera; vide guerrieri dagli occhi a mandorla radunarsi al di là del Mare Interno, mentre colonne di fumo si levavano minacciose dai deserti del Sud, oltre la Terra Nera dove nemmeno i raggi del sole osavano più avventurarsi.
Nella Valle della Luna i mezzelfi dai capelli rossi andavano ancora a caccia di selvaggina, e la cosa lo rincuorò; ma di lei non c'era traccia.
Vide un grande esercito uscire dai cancelli di Città del Re, ma non riuscì a comprendere fino in fondo cosa potesse significare, né gli interessava.
Si sforzò di ricordarla: i capelli argentei come i suoi, gli occhi blu come il mare, la cuffia di seta e il profumo di gelsomino. Quella sua aria meditabonda e arrendevole.
Si sforzò di ricordare la sua voce.
"Il mio guerriero implacabile. Il mio bel campione."
(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)
Fu un dettaglio insignificante a catturarlo.
Il luccichio di un anello, da qualche parte tra i soldati del Re, o forse a Città della Valle; o magari lungo le sponde del Grande Fiume?
Era trascorso un attimo soltanto, eppure non riusciva a ricordare dove aveva appena intravisto un anello identico a quello di lei; sempre che non fosse stata la sua mente a giocargli un tiro mancino.
Doveva assolutamente vederci più chiaro.
Sentì il cuore palpitare e si accorse che le sue ginocchia stavano tremando. Si aggrappò ai braccioli fino a spellarsi le dita e frugò rabbiosamente di città in città, di strada in strada, spaziando da nord a sud mentre un violento capogiro lo implorava di smetterla.
Era arrivato a sfiorare con lo sguardo le Montagne Dorate, poste agli estremi confini orientali del mondo, quando una voce sgradevole lo dileggiò, riportandolo bruscamente indietro.
«Ti sei fatto beccare.»
Nove e i suoi.
Riprese fiato mentre un rivolo di sangue gli colava dal naso.
Un manipolo di Cacciatori dai volti coperti sostava ai piedi del Seggio della Vista; due di essi sorreggevano l'essere che lui stesso aveva avvistato poco prima. Era un umano; uno dei più brutti esemplari che avesse mai visto.
Aveva arti sottili e spalle pressoché inesistenti, ma il suo ventre era gonfio; i capelli erano così sudici da rendere impossibile indovinarne il colore. Era privo di sensi, ma dalla bocca semiaperta si intravedevano denti guasti. Indossava abiti pregiati ma logori, nonché della taglia sbagliata. Il lezzo di sudore e sporcizia era così potente da sfidare l'odore dei morti e del sangue rappreso.
Nove lo guardava da dietro il suo passamontagna, ma Belthran ebbe la netta sensazione che stesse sogghignando.
«Le mie congratulazioni, Nuuruhuìne», disse Nove nella loro lingua natale.
Belthran vinse la nausea e si rimise in piedi, riservando al suo superiore uno sguardo di puro odio.
«Ti ho già detto di non chiamarmi così.»
Un sole sfolgorante svettava a meridione, incendiando le Montagne Innevate che cingevano l'orizzonte come una corona incandescente; Belthran non fu più sicuro di quanto tempo avesse trascorso al posto della vedetta.
Incespicò sul suo cadavere, mentre Nove avanzava con una freccia incoccata, la punta rivolta al terreno.
«Un minuto ancora, e avresti rovinato tutto.»
Belthran si aggrappò allo schienale, sentendosi improvvisamente privo di forze.
«Se non vi avessi chiamati io, non sareste accorsi a rimediare», mormorò, asciugandosi il naso insanguinato; «ammesso che fosse necessario. Ormai li avevo praticamente in pugno.»
Nove si fermò sotto di lui e divaricò le gambe; a Belthran sembrò che stesse per tendere l'arco.
«Sei il più arrogante degli esseri.»
«Mi limito a constatare i fatti. Stavo gestendo il processo piuttosto bene: da accusato, ero riuscito a diventare l'accusatore. C'erano discrete possibilità.»
Nove restò immobile a fissarlo.
«Un altro fatto è che qualcuno sta davvero cercando di mandare tutto a rotoli, o non avrebbe avuto luogo questa follia.»
Belthran sfidò il suo sguardo senza timore.
«Qualcuno che deve aver scambiato la Valle del Vino per un campo di battaglia dei tempi antichi. Ti dice niente?»
Nove rilassò le spalle e allentò la corda dell'arco. «Conosci già la risposta.»
Belthran annuì sarcastico: «Ciascuno sa ciò che deve sapere», recitò a memoria, «ma conosco anche il codice che mi impone di indagare su varie faccende, tra cui un massacro di civili di cui stavo per prendermi la colpa.»
Detto ciò, si scostò dal seggio e scese lentamente le scale; si fermò davanti a Nove e l'avvolse nella sua ombra.
«Perciò dimmi, comandante: che cosa devo sapere?»
Nove dispensò qualche ordine in lingua comune; un perimetro di arcieri cominciò a delinearsi attorno alla cima del colle, mentre altri sparirono oltre il crinale.
«Ci sono stati degli sviluppi», disse poi, adottando nuovamente la lingua elfica. «Il movimento si è ingigantito: notizie inaspettatamente favorevoli hanno accelerato gli eventi. Occasioni troppo ghiotte per lasciarcele sfuggire, che hanno richiesto decisioni repentine e cambiamenti improvvisi.»
«Un bel cambiamento, sterminare innocenti», disse Belthran, «e lasciarsene scappare uno, per giunta. Non ci sarebbe stato nessun processo, per la cronaca, se non avessi lasciato in vita un testimone.»
Si guardò attorno, ma non riuscì a individuare il corpo di Roland tra quelli accatastati.
«Nessun testimone», assicurò Nove.
«Chissà quanti oltre a lui, invece. La notizia sta facendo il giro di tutte le terre tra i Monti delle Nebbie e Città del Re: se questo non è mandare tutto in rovina, allora spiegami cosa mi sono perso, di grazia.»
«Alcune cose è bene che rimangano segrete; altre conviene che si diffondano», fu la risposta sibillina di Nove; «come ho già detto, occorreva approfittare dei segni a nostro favore.»
«Sarebbe a dire?»
«Il Nano. L'hanno mandato via.»
Belthran rammentò quanto aveva visto attraverso il potente trono magico. Un imponente esercito usciva dalla capitale: il Generale Nano in persona lo guidava.
«Città del Re è sguarnita», annunciò Nove. «Gli Uomini dei Cavalli non sanno nulla: da mesi intercettiamo ogni corriere. Ora il Nord è nella confusione, e le forze leali al Re sono isolate... o annientate. Il grosso dell'esercito muove verso sud, ma alcuni dei nostri li seguono. Torneranno in pochi, e troveranno che le cose sono cambiate nei Regni Liberi.»
Nove si rimise l'arco in spalla e uscì dalla sua ombra, seguitando a fissarlo con un'intensità bruciante.
«È il momento di agire, Belthran. Il momento che abbiamo sempre aspettato.»
Il mezzelfo si avvicinò allo strano uomo svenuto, che i sicari di Nove avevano abbandonato senza convenevoli sul terreno lordo di sangue. «Perché uccidere i nostri? Quali che siano le circostanze, dove può portare una simile azione se non alla rovina? Tu non rifletti mai sulle conseguenze, Nove? Non mi riferisco agli ordini e allo stato di una missione, ma solamente alle conseguenze che le tue azioni avranno su questo mondo, siano esse giuste o sbagliate. Ci pensi mai?»
«Discuti decisamente troppo, per essere un sottoposto», lo ammonì Nove.
«Cerco solo di dialogare con l'unica persona al mio livello, nel raggio di qualche miglio. Puoi biasimarmi?»
Nove allora lo affiancò; la sua voce divenne un sussurro.
«Facciamo così perché siamo disperati. Perché abbiamo un'occasione che potrebbe non capitare mai più; e perché questa è una guerra. Non esiste guerra che non travolga parte di ciò che amiamo; parte di ciò che siamo.»
«C'è qualche possibilità di farla finita, stavolta?», bisbigliò Belthran; «conosco meglio di te l'importanza della segretezza: non ti chiederò chi o cosa dovevi far sparire dalla Valle del Vino. Voglio solo sapere se esiste una possibilità che mettendo in fila tutti questi morti arriveremo a liberarci di loro, una volta per tutte.»
Nove attese un istante, quindi annuì.
Belthran lasciò passare qualche secondo ancora, mentre fissava sovrappensiero il grosso anello alla mano dell'uomo svenuto.
«C'era un'antica città oltre il Mare Interno», ricordò; «aveva moli gremiti di uomini e vascelli. Anche loro andavano in guerra.»
«Gli Uomini dell'Est si aggirano ancora per la riva orientale; questa non è una novità. Non è la prima volta che si radunano sulle loro coste, e non sarà l'ultima. Se vogliono andare in cerca di guai li attende un lungo viaggio, ammesso che non si scannino tra loro prima ancora di aver tolto le ancore. Non è sulle località esotiche che dobbiamo concentrarci adesso.»
Belthran storse un labbro; «avreste potuto travestirvi, almeno. Così ci hai praticamente messo una taglia sulla testa.»
«L'hai detto tu: sai gestire benissimo un processo. Io dico che saprai difenderti ancora meglio, quando potrai farlo da un bastione imprendibile.»
Belthran si irrigidì, sentendo la mano di Nove che gli accarezzava furtivamente un fianco; cercò nuovamente il suo sguardo e non vi trovo più quella contagiosa acrimonia, bensì due luminosi occhi color nocciola sotto ciglia lunghe e sottili. Chinò il viso e avvertì il suo respiro attraverso la maschera di stoffa.
«Conquista il Veliero», sussurrò Nove. «Se rimani con me, potremo farcela.»
Anche la sua voce si addolcì.
Belthran sentì le sue carezze farsi più insistenti.
«Non lasciarmi adesso.»
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Belthran sospirò, ripensando ad altri occhi; occhi che aveva creduto di rivedere un momento prima che Nove lo interrompesse.
«Non ti lascerò», le disse, posandole una mano sulla spalla. Gliela strinse fino a quando non la vide annuire quasi impercettibilmente.
«Lui cos'ha a che fare con tutto questo?», domandò dubbioso, indicando Disgrazia con un cenno.
«Nulla, o forse tutto. Non devi preoccuparti neanche di lui: lo porto con me per farlo interrogare. Ancora non sappiamo chi sia; sappiamo solo che anche gli uomini del Guardiano lo cercavano.»
«Li ho mandati io, per prendere tempo. Nemmeno loro avevano idea di chi fosse.»
«Allora probabilmente non è nessuno. Lascerò decidere ai miei superiori se e come ucciderlo, sempre che non decida di tirare le cuoia per conto proprio.»
Dopo aver ripreso le distanze, Belthran si voltò nuovamente a guardarla: un raggio di sole illuminava il braccio teso al falco, gli artigli che affondavano nel bracciale di cuoio.
«Un'ultima cosa.»
Nove infilò qualcosa nel becco del rapace; Belthran ebbe la spiacevole sensazione che fosse parte di una persona.
«Come avete fatto a non essere avvistati? Quella sedia magica funziona abbastanza bene, per quel che ho visto.»
«Sì, funzionano bene», disse Nove. Per un momento parve sorridergli con gli occhi: «Artefatti e marchingegni che scrutano a nord, fino ai ghiacciai eterni; a sud fino a Città del Destino. A est, fino alle coste dei grandi laghi salati.»
Belthran guardò il becco del falco demolire famelico quella che poteva essere la lingua di qualcuno.
«Non guardano mai a ovest», concluse Nove. «Ecco come abbiamo fatto.»
Un attimo dopo, Disgrazia riaprì gli occhi.
«Ti lascio i miei uomini», stava dicendo Nove, mentre Belthran osservava il prigioniero agitare il collo a destra e a manca come una specie di gallinaceo.
«Ti serviranno per finire il lavoro.»
Disgrazia spalancò la bocca e si mise seduto, guardando verso una pila di cadaveri.
Poi cominciò a urlare.
(Continua...)
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