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in #theneverendingcontest4 years ago (edited)

Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n°126 S1-P6-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @storychain

Tema: Nuovo inizio
Ambientazione: Ellis Island

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Il nuovo lavoro

<<Buongiorno a tutti, il mio nome è Violet e da domani lavorerò insieme a voi qui a Ellis Island. Lieta di conoscervi!>>.

Queste semplici parole si ripetevano come un mantra nella testa di Violet, perché è così che lei avrebbe voluto presentarsi ai suoi nuovi colleghi di lavoro per fare loro una bella impressione. Aveva studiato ogni sillaba di quella frase per tutta la mattina, ripetendola o sussurrandola mentre faceva la doccia e si pettinava i capelli, mentre validava il biglietto della metro o prendeva la navetta per raggiungere l’isola. Voleva essere certa di presentarsi in maniera simpatica ma professionale, sobria ma con classe.
Quando però arrivò a destinazione e le venne chiesto cosa desiderasse, riuscì solo a farfugliare frasi sconnesse per l’imbarazzo e mentre diventava rossa come un peperone fra i risolini dei presenti, si fece indicare l’ufficio della direzione e vi si avviò con la coda tra le gambe.
Pensava che le cose non sarebbero potute andare peggio, ma avvicinandosi all’ufficio della direzione, la cui porta era socchiusa, sentì la voce melliflua di una donna non più giovanissima, probabilmente la direttrice, che parlando con la sua segretaria si rammaricava dell’arrivo di una nuova guida turistica che era stata raccomandata - o sarebbe meglio dire imposta dai piani alti, - e che certamente sarebbe stata un disastro.
La povera Violet si vergognò moltissimo di essere preceduta da quella fama piena di pregiudizi nei suoi confronti: è vero, aveva ottenuto quell’incarico grazie a qualche amico di suo padre, ma non glielo aveva certo chiesto lei. Dopo il college aveva girato l’Europa per perfezionare le quattro lingue che ormai parlava correntemente, poi era tornata negli USA per trovare lavoro e costruire la propria carriera senza l’aiuto di nessuno. Per caso, però, suo padre era venuto a conoscenza del fatto che lei aveva inoltrato il proprio curriculum anche per lavorare sull’Isola, e l’aveva “aiutata” a sua insaputa. Quando era stata chiamata per prendere quell’incarico si sentiva così felice! Aveva subito telefonato a papà per comunicargli la notizia, orgogliosa di potergli dimostrare che anche senza il suo aiuto poteva fare carriera. <<Congratulazioni, figlia mia.>> le aveva risposto il padre, semidistratto come sempre dal lavoro che lo assorbiva da mattina a sera; << Mi ricorderò di mandare in giornata un biglietto di ringraziamento a Bill. Dovresti uscire con Karl qualche volta.>>.
Sentendo questa risposta, Violet era rimasta pietrificata senza riuscire a replicare nulla al padre, che l’aveva semplicemente salutata riattaccando il telefono. Con quelle poche parole, quell’uomo che "l’amava così tanto" le aveva contemporaneamente fatto sapere che era merito suo se aveva ottenuto quell’incarico, che da sola non avrebbe mai combinato niente nella vita e che erano in debito col suo amico Bill, il cui figlio Karl era un rampollo viziato e superficiale con cui il padre cercava di accasarla. A volte si chiedeva se lui comprendesse di avere una figlia in carne e ossa, con una testa e un cuore, o se pensasse di essere solo il proprietario di una bambola a cui trovare un buon posto dove essere ammirata dai suoi amici, come i trofei strategicamente esposti in una vetrina del suo ufficio.

Ancor più rossa di vergogna, Violet fece un bel respiro, attese fuori dalla porta che la conversazione fra le due donne si spostasse su qualche altro argomento, quindi bussò timidamente ripetendo a se stessa sottovoce che lei aveva il suo valore, lei aveva il suo valore.

<<Buongiorno, io sono Violet, Violet Sky. Sono venuta per il lavoro, piacere di conoscervi.>>
Era riuscita a parlare con una certa disinvoltura, incespicando solo una volta, nel pronunciare il proprio cognome, al sentire il quale non le era sfuggito il lieve fremito del sopracciglio della donna seduta alla scrivania del direttore. Le due signore si scambiarono un’occhiata eloquente, poi quella che era la segretaria le fece cenno di accomodarsi su una delle sedie antistanti la scrivania della direttrice e uscì dalla stanza.
Violet si ritrovò faccia a faccia con una signora tarchiata ma dall’aspetto gradevole ed elegante, più vicina ai sessanta che ai cinquanta, dotata di penetranti occhi di ghiaccio molto truccati con matita e ombretto azzurri, quasi a sottolineare le sfumature platino del caschetto biondo e liscio.
<<Benvenuta Signorina Sky. Sono felice di notare che Lei è in anticipo sul nostro appuntamento. Qui a Ellis Island apprezziamo molto la puntualità e gradiremmo che questa fosse un’abitudine costante e distintiva di ogni nostro dipendente, insieme alla professionalità e alla preparazione, se capisce cosa intendo.>>
<<Ma certo, Signora Cutterly, capisco perfettamente. Sarò all’altezza delle sue aspettative.>> rispose Violet cogliendo la frecciatina della direttrice, che probabilmente voleva precisare che non ci sarebbero stati trattamenti di favore solo perché era stata raccomandata.

Terminato lo sgradevole colloquio, la Signora Cutterly in persona la accompagnò a fare un giro degli uffici e del museo, presentandola al personale e a molti dei suoi nuovi colleghi. Non dimenticava mai di sottolineare come “sul suo curriculum vantasse ben 5 lingue parlate fluidamente, incluso il russo”; anche se Violet sapeva che quella vanteria serviva a metterla in cattiva luce davanti agli altri dipendenti, non comprendeva bene il perché di questa precisazione, ma aveva la sensazione che fosse un modo ulteriore per metterla in difficoltà.

Terminato il giro, la Direttrice si congedò e Violet decise di approfittare del tempo che le rimaneva per esplorare l’isola. Era già stata al Museo Nazionale dell’Immigrazione, dove tanti anni prima erano arrivati anche i suoi bisnonni materni dalla lontana Grecia, ma vi tornò volentieri guardando tutto con gli occhi di chi, da quel momento in poi, avrebbe dovuto mostrare agli altri quel posto spiegandone i segreti. Mentre osservava le foto in bianco e nero e i filmati che ritraevano fiumane infinite di gente che arrivava coi vestiti logori, la pancia vuota e il cuore pieno di speranze, cercò di immedesimarsi nei pensieri e nei sentimenti di tutte quelle persone, milioni e milioni, che erano passate da quell’isola negli ultimi cento e più anni.
Giungevano da posti lontani, fuggendo dalla miseria della propria nazione in cerca di fortuna nella lontana America.
Violet si domandava quanto grande dovesse essere la disperazione di chi era disposto ad affrontare un viaggio così duro, spesso di sola andata, senza denaro e senza certezze, lontano dai luoghi e dai volti dei propri cari. Era un’epoca non così lontana, ma in realtà distante anni luce dall'epoca attuale, quando la comunicazione era limitata alle lettere scritte, per chi sapeva scriverle e per chi sapeva leggerle; quando passavano mesi o anche anni prima di avere notizie dei propri cari; quando gli immigrati venivano confinati in ghetti, esiliati dagli altri americani, o per legge non si poteva far loro nessun contratto di lavoro, condannandoli a una miseria peggiore di quella che avevano lasciato: miseria unita a solitudine.
Violet si sentì molto vicina a tutti quegli uomini, donne, bambini, che sfidando la sorte si erano avventurati in quel viaggio pericoloso, alla ricerca di un nuovo inizio.

Un nuovo inizio: quello che desiderava anche lei, che attraversava ancora quell'isola di approdo e ripartenza.

Nel parco del museo, Violet si sedette sul prato ad osservare la statua della Libertà in lontananza, sulla vicina Liberty Island. Rimuginava sulla sua giornata, rimproverandosi di non aver fatto con nessuno la buona impressione che desiderava e pensando catastroficamente che forse sarebbe stato meglio mollare ogni cosa, dato che già tutto andava a rotoli prima ancora di iniziare.

<<Violet? Violet Sky? Eccoti! Sei proprio tu!>>
Una voce la raggiunse alle spalle. <<Bob? Robert Brown? Ma che sorpresa! Che cosa ci fai qui?>>
<<Lavoro nella manutenzione di Ellis island, mi occupo dell’impianto elettrico. E tu, invece?>>
<<Da domani inizierò a lavorare qui come guida turistica e oggi sono venuta a sbrigare la burocarazia e fare un giro, sai, conoscere i colleghi e cose simili.>>
<<In effetti avevo sentito dire di una nuova arrivata, ma l’avevano descritta come una saccente saputella ricca figlia di papà che solo grazie all’influenza della sua famiglia aveva ottenuto questo incarico. Quando avevo sentito il tuo nome e che eri qui mi sono detto “Impossibile!” e sono venuto a constatare di persona che non fossi diventata come dicevano. O lo sei?>> le chiese Bob con una certa confidenza. Era stato per anni il migliore amico di suo fratello e aveva frequentato a lungo casa loro quando erano al liceo. Poi la sua famiglia si era trasferita per lavoro e non lo aveva più sentito, ma l’affetto verso di lei , che lui vedeva come una sorellina minore, era rimasto intatto.
<<Non saprei…Siediti un po’ con me e giudica da solo!>> lo invitò Violet.
Chiacchierarono un po’ dei vecchi tempi, poi Bob dovette ritornare a lavoro.
<<A domani, allora. In bocca al lupo per il tuo nuovo inizio! Ah, sì, ricordati questo: non parlare mai in russo in presenza di Katarina. E’ una fanatica della sua lingua, se si sentisse anche solo lontanamente minacciata troverebbe il modo di metterti contro tutti i colleghi e poi farti licenziare! Cerca di tergiversare e non dire una parola, nemmeno se vieni provocata; invece adulala, dille che la sua lingua è troppo pura, troppo difficile, troppo superiore alle altre… o chiedile di insegnarti gli accenti o altre stronzate… e diventerai sua amica.>>
<<Me ne ricorderò!>> rispose Violet, pronta a iniziare quella nuova avventura.