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in #vittorio7 years ago

Della vasta opera di Vittorio Imbriani come studioso del grande passato d'Italia su cui costruire e migliorare il deludente presente, a cui nulla sapeva perdonare il suo temperamento inflessibile, si fa cenno di alcune delle cose più importanti.

Attento studioso della letteratura popolare, che andava integrata nella sua visione organica nell'alveo letterario della nuova nazione unita, raccolse e pubblicò a più riprese fiabe, canti e novelle di tradizione orale. Spiccano La novellaja fiorentina (Napoli 1871), ripubblicata con l'integrazione de La novellaja milanese a Livorno nel 1877, i Canti popolari delle provincie meridionali pubblicati per i tipi di Loescher (1871- 72) e i XII conti pomiglianesi pubblicati a Napoli nel 1877.

Simile esigenza di integrazione nazionale ha il suo interessamento e studio della lingua, di cui fu, con Tommaseo, per unanime riconoscimento critico, il massimo esperto del suo secolo, che voleva preservata in tutta la sua ricchezza, apporto di tutti i dialetti d'Italia, contro la pruderie toscaneggiante: «Io non vorrei però che toscaneggiassimo, perché aborro le mascherate, soprattutto nello stile; il Giusti dice così bene che la lue di voci pellegrine fa l'anime false; ma si falserebbe anche l'animo del Lombardo e del Siciliano, quando gli volessero fare esprimere i propri affetti ed i propri pensieri in un linguaggio, che non è prodotto dalla sua mente, che non risponde alla conformazione del suo cerebro, a' suoi bisogni morali ed intellettuali. La lingua Italiana, essa sì, vi risponde; perché vi abbiamo tutti collaborato: quindi possiamo e dobbiamo servircene, per esprimere tutto il nostro retaggio comune. Quantunque è poi speciale, municipale, non può bene esprimersi da ciascuno, se non nel suo rispettivo dialetto »; e che voleva adatta ai nuovi tempi, con libero uso di forestierismi, anzitutto i gallicismi, contro le fisime dei puristi: «Io, sappilo, sono un lassista senza paura e senza rimorsi. Lassista deliberatamente, non apro i Vocabolari de' gallicismi, se non per fare tesoro delle parole, che vi sono poste alla berlina, appunto come il governo Italiano ha preso i galeotti politici de' Borboni per popolare il Senato, le cattedre, i tribunali, le amministrazioni». Era una posizione teorica della lingua come fatto sociale che si riverberava poi in un ben preciso e inconfondibile stile di scrittura, contrario ai gusti e le mode letterarie correnti. Importanti sono per la questione della lingua nel nuovo Stato unitario gli Appunti critici, editi a Napoli nel 1878.

In ambito di riscoperta del grande passato letterario contrapposto polemicamente al presente, v'è l'indagine e lo studio degli amati autori del Cinque e Seicento meridionale. Pietra miliare resta il suo studio su Giovan Battista Basile che segna la riscoperta di questo artista prima d'allora poco considerato: Il gran Basile: studio biografico e bibliografico (Napoli 1875). Ma va citata almeno la pubblicazione a sua cura della Posilecheata di Pompeo Sarnelli (Napoli 1885) pochi mesi prima di morire, quando la salute era ormai devastata dalla malattia.

Di rilievo anche l'attività legata alla didattica della letteratura italiana. A partire dal 1882, infatti, Imbriani pubblicò, in collaborazione con Carlo Maria Tallarigo, una Nuova crestomazia italiana in più volumi. Una menzione a parte meritano gli studi su Dante, fonti anch'essi di memorabili scontri coi dantisti fautori di tesi opposte, che furono raccolti e pubblicati postumi a cura di Felice Tocco (Studi danteschi, Firenze 1891).

Da citare dei suoi studi estetici l'interessante “teoria della macchia” in pittura, che mostra un Imbriani acuto osservatore, pur dal suo “splendido isolamento” di reazionario, della realtà artistica contemporanea: «la macchia è un accordo di toni, cioè di ombra e di luce, atto a suscitare nell'animo un qualsivoglia sentimento esaltando la fantasia fino alla produttività... La macchia è la parte subjettiva del quadro; mentre invece l'esecuzione è la parte obiettiva, è il soggetto che si fa valere e s'impone». Brillante e spesso polemica con artisti e soprattutto critici d'arte è la raccolta delle sue cronache sull'omonima mostra napoletana La quinta Promotrice (1868).

E di questa spesso risentita osservazione del presente vanno almeno ricordate le giustamente definite “terribili” Fame usurpate date in stampa a Napoli nel 1877, raccolta di quattro saggi critici che sono altrettante stroncature dei poeti Aleardo Aleardi e Giacomo Zanella, del Faust di Goethe e delle traduzioni di Andrea Maffei. E nondimeno, anche per i risvolti biografici, i due scritti contro Giosuè Carducci: Uno sguaiato Giosuè, uscito sulla rivista “La Patria” nel 1868, e l'ode Alla regina un monarchico, che replicava polemicamente all'ode carducciana Alla regina d'Italia.

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